Trump dà a Zelensky fino al 27 novembre: accetta il piano di pace o affronta le conseguenze
24 nov

Il 22 novembre 2025, nel giorno 1.368 della guerra in Ucraina, Donald Trump ha lanciato un ultimatum diretto a Volodymyr Zelensky: accettare un piano di pace di 28 punti entro giovedì 27 novembre, o affrontare «conseguenze» che non ha specificato, ma che lasciano pochi dubbi. «Si dovrà far andare bene il mio piano di pace», ha detto Trump in un’intervista a Fox News, aggiungendo che l’Ucraina «già sta perdendo territori» e che «probabilmente li perderà comunque, in un breve lasso di tempo». Il riferimento è chiaro: la regione del Donbass, dove da anni si combatte una guerra logorante, e dove le truppe ucraine controllano ormai solo il 12% del territorio — un’area che ha costato centinaia di migliaia di vite. La pressione non viene solo da Washington. È un momento cruciale, e il mondo intero guarda a Kiev.

Il fronte di Pokrovsk: una vittoria tattica, ma la guerra non si ferma

Nello stesso giorno in cui Trump parlava, il comandante in capo delle forze armate ucraine, Oleksandr Syrskyi, ha annunciato una controffensiva di successo a nord di Pokrovsk, una città che Zelensky ha definito l’«epicentro della guerra». Le truppe ucraine hanno liberato oltre 430 chilometri quadrati di territorio, spezzando le linee offensive russe e causando più di 13.000 tra morti e feriti tra le forze di Mosca. È un risultato significativo, ma non cambia la realtà strategica: Pokrovsk è ancora sotto assedio, e i droni russi — oltre 112.000 lanciati dall’inizio della guerra — continuano a colpire case, ospedali, scuole. Bambini morti. Civili sotto le macerie. A Ternopil, dopo i bombardamenti del 19 novembre, sono stati recuperati 33 corpi. Sei persone, tra cui un bambino, sono ancora intrappolate.

La risposta di Zelensky: «No» — ma non un rifiuto

Zelensky, dopo un colloquio telefonico di quasi un’ora con il vicepresidente americano J.D. Vance, ha risposto con calma e fermezza. Su X, ha scritto che l’Ucraina «ha sempre rispettato e continua a rispettare il desiderio del presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, di metter fine allo spargimento di sangue». Quando gli hanno chiesto se il piano fosse l’ultima offerta, ha risposto semplicemente: «No». Ma ha aggiunto: «La guerra deve finire in un modo o nell’altro». È un equilibrio sottile. Non vuole offendere Washington, ma non accetterà mai di cedere il Donbass senza una garanzia reale di sicurezza. E qui sta il nodo: il piano di Trump prevede limitazioni drastiche alle forze armate ucraine, quasi un disarmo preventivo. «Siamo preoccupati», ha detto un alto funzionario europeo, «perché renderebbero l’Ucraina vulnerabile a futuri attacchi».

L’Europa si muove, ma non è unita

Mentre Trump parla di «accordi», l’Europa cerca di costruire un fronte comune. Antonio Costa, presidente del Consiglio europeo, ha riunito 12 Paesi allineati a margine del G20 a Rio de Janeiro, sottolineando l’importanza di un «approccio mirato e coordinato». Il cancelliere tedesco Friedrich Merz ha ribadito che «la Russia ha scatenato una guerra illegale» e che «la dimensione delle forze armate ucraine è una scelta sovrana». Anche il presidente lituano Gitanas Nausėda ha parlato di «muro di droni» da costruire insieme per difendere le frontiere esterne dell’Ue. E la Lituania ha annunciato un nuovo aiuto militare da 220 milioni di euro per il 2026 — un segnale chiaro che non cederà alle pressioni americane.

Il silenzio di Putin e la mossa di von der Leyen

Il Cremlino ha risposto con un silenzio strategico. Vladimir Putin ha detto che il piano americano è «una base», ma ha aggiunto che la Russia è «pronta a perseguire gli obiettivi militarmente». È un avvertimento in codice: se l’Ucraina rifiuta, Mosca non si fermerà. Intanto, Ursula von der Leyen ha annunciato che i leader europei si riuniranno domani, 23 novembre, sempre a margine del G20, e poi in Angola per il vertice Ue-Africa. È un tentativo di ampliare il sostegno internazionale. Anche il primo ministro italiano Giorgia Meloni ha dichiarato che l’Italia è «pronta a collaborare per raggiungere una pace giusta» — ma ha evitato di sostenere esplicitamente le concessioni territoriali.

Perché il Donbass non si può cedere

Questo non è solo un conflitto territoriale. È una questione di sopravvivenza morale. Il Donbass è stato difeso da soldati, volontari, medici, insegnanti. Ogni chilometro quadrato liberato ha un nome, una storia, una tomba. Oltre 88% del territorio è sotto occupazione russa, ma non è un vuoto da riempire con una firma. Le vittime — più di 100.000 civili uccisi dall’inizio della guerra, secondo le stime dell’Onu — non sono numeri. Sono madri che non vedranno più i figli. Sono anziani che hanno perso le case. E se l’Ucraina accetta di cedere quel territorio senza garanzie di sicurezza, cosa succederà tra cinque anni? La Russia non ha mai rispettato gli accordi. Non ha rispettato Minsk. Non ha rispettato il 2014. Perché dovrebbe rispettare un nuovo piano?

Cosa succede dopo il 27 novembre?

Se Zelensky rifiuta, Trump potrebbe ridurre gli aiuti militari — già in calo da mesi. Potrebbe bloccare nuove forniture di missili Patriot o di F-16. Potrebbe isolare Kiev diplomaticamente. Ma se accetta? L’Ucraina potrebbe vedere un’altra generazione di giovani costretti a fuggire. Le elezioni del 2027 potrebbero essere vinte da un partito che promette di riprendere le terre perdute. E la guerra potrebbe ricominciare. È un dilemma senza vincitori. Ma una cosa è certa: nessun accordo che non garantisca la sicurezza dell’Ucraina sarà mai una pace vera.

Frequently Asked Questions

Perché Trump insiste sulle concessioni territoriali nel Donbass?

Trump sostiene che il continuo sostegno militare all’Ucraina sia costoso e insostenibile, e che la guerra non possa essere vinta militarmente. Secondo lui, cedere il Donbass eviterebbe ulteriori perdite e potrebbe portare a un cessate il fuoco immediato. Ma non include garanzie di sicurezza a lungo termine per l’Ucraina, né un impegno da parte della Russia a rispettare i confini. È un calcolo politico, non strategico.

L’Ucraina può rifiutare il piano senza perdere il sostegno americano?

Sì, ma con rischi. Gli Stati Uniti hanno già ridotto le forniture di armi pesanti e rallentato i permessi per l’uso di armi occidentali contro obiettivi in Russia. Se Zelensky rifiuta il piano, Trump potrebbe bloccare ulteriori aiuti militari, soprattutto quelli legati a sistemi avanzati come i Patriot o i F-16. Tuttavia, il Congresso americano e molti alleati europei potrebbero continuare a sostenere Kiev, anche senza Washington.

Quali sono le conseguenze umanitarie di una cessione del Donbass?

Circa 2 milioni di persone vivono ancora in zone controllate dall’Ucraina nel Donbass. Una cessione forzata le espellerebbe, o le sottoporrebbe a un regime russo repressivo. Le Nazioni Unite stimano che oltre 500.000 civili nel Donbass siano già in condizioni di emergenza umanitaria. Senza protezione internazionale, i diritti umani potrebbero crollare: detenzioni arbitrarie, repressione linguistica, chiusura di scuole e ospedali ucraini.

Perché l’Europa non sostiene apertamente Trump?

Perché l’Europa ha vissuto sulla propria pelle le conseguenze degli accordi con la Russia: da Minsk a Gas Nord Stream. Non dimentica che la Russia ha occupato la Crimea nel 2014 e ha scatenato la guerra nel Donbass. Per molti leader europei, cedere territori non è una soluzione, ma un precedente pericoloso. La Germania, la Francia e i Paesi baltici temono che un accordo simile incoraggi Mosca a ripetere lo stesso modello in Moldavia o nei Paesi baltici.

Cosa sta facendo la Santa Sede in questo conflitto?

L’Almoniere Apostolico, agendo sotto l’autorità di papa Francesco, sta coordinando aiuti umanitari in Ucraina da anni: cibo, medicine, ripari temporanei e supporto psicologico per i bambini traumatizzati. Il Vaticano non prende posizione politica, ma offre un canale neutro per il dialogo. Negli ultimi mesi, ha inviato delegazioni in Russia e Ucraina per facilitare scambi di prigionieri e l’evacuazione di civili da zone di combattimento.

Cosa cambierà dopo il vertice Ue-Africa in Angola?

L’obiettivo è ampliare la rete di sostegno all’Ucraina. Paesi africani come il Sudafrica e il Ghana hanno mantenuto una posizione neutrale, ma molti sono preoccupati per l’aumento dei prezzi del grano e delle crisi energetiche causate dalla guerra. Se l’Ue riesce a convincerli a sostenere sanzioni o a partecipare a un fondo per la ricostruzione, potrebbe isolare ulteriormente la Russia. È una scommessa diplomatica: se fallisce, l’Ucraina resterà sempre più sola.

Edoardo Sartorini

Sono Edoardo Sartorini, esperto nel campo delle notizie e appassionato di scrittura riguardante la vita sociale e la tecnologia. Da anni mi dedico a seguire le ultime tendenze e ad analizzare l'impatto della tecnologia sulla nostra società. Ho scritto numerosi articoli e pubblicazioni su questi argomenti, cercando di fornire un punto di vista originale e stimolante. Collaboro con diverse testate giornalistiche e siti web specializzati, offrendo contenuti di qualità e approfondimenti unici. Il mio obiettivo è informare e intrattenere il pubblico, condividendo la mia passione per l'innovazione e la vita sociale.

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